ECONOMIA
L’Inchiesta Jacini Del 1884
Un riferimento storico
Nel 1877 il governo Depretis promosse un’inchiesta agraria la cui realizzazione venne affidata ad una commissione parlamentare presieduta da Stefano Jacini. L’inchiesta passata alla storia con il nome di Inchiesta Jacini fu votata nel 1877 e si concluse nel 1884. Si proponeva di mettere a fuoco le condizioni del mondo agricolo nell’Italia post-unitaria al fine di predisporre misure e strumenti per lo sviluppo e l’ammodernamento dell’agricoltura italiana. Venne condotta con scrupolo, serietà e rigore e anche se non produsse nessuna riforma riuscì a fornire un quadro dettagliato del mondo agricolo e rurale italiano. Affrontò tutte le problematiche inerenti quel mondo: dalle condizioni sociali economiche ed igieniche dei braccianti agricoli alle tecniche colturali, dalla meccanizzazione agricola all’alimentazione degli agricoltori, dalle abitazioni all’analfabetismo. Di particolare interesse ai fini della presente ricerca è la descrizione scrupolosa che nell’inchiesta viene fatta della varietà di sementi, vitigni e fruttiferi utilizzate all’epoca dagli agricoltori. Ed è soprattutto interessante verificare quali di queste varietà venissero utilizzate nel Piceno.
La stesura dell’inchiesta venne affidata a dei Sottocomitati Locali che ebbero il compito di reperire le informazioni necessarie.
Per quanto riguarda il Piceno furono quattro i Sottocomitati incaricati: quello di Ascoli, quello di Fermo, quello di Camerino e quello di Macerata. Le relazioni dei quattro Sottocomitati rappresentano una fonte ricchissima di informazioni sull’agrobiodiversità del Piceno e rendono possibile effettuare una comparazione con il materiale emerso nel corso della ricerca demo-etno-antropologica. L’inchiesta affronta un’analisi particolareggiata per ogni coltura agricola: dalla vite all’olivo, dalle cerealicole alle leguminose, dalla canapa al lino, dal gelso ai fruttiferi, ecc. Affronta con dovizia di particolari quelle che sono le tecniche colturali, le varietà utilizzate, le malattie delle piante e i vari rimedi, le rese e le tecniche di raccolta, fino ai vari “conti colturali”. Ciò che ci preme in questa sede sottolineare è la ricchezza varietale che si evince dall’inchiesta e che corrisponde perfettamente ai ricordi degli anziani intervistati. Il Piceno sul finire del XIX° secolo presenta un cospicuo patrimonio di agrobiodiversità se confrontato con la relativa povertà varietale dei nostri giorni. Soprattutto presenta un numero cospicuo di varietà autoctone o comunque adattate ai vari habitat locali mentre oggi sono presenti sul territorio varietà di sementi, vitigni e fruttiferi di provenienza esterna.
Ai tempi dell’inchiesta Jacini la coltura della vite, tra le colture arboree artificiali, risultava essere quella maggiormente diffusa nel Piceno. Il sistema di coltivazione più diffuso era quello dei cosiddetti “seminativi vitati” ossia della vite maritata agli alberi, generalmente l’oppio o acero campestre, anche se alcune decine di ettari erano ricoperti a vigna. Per quanto riguarda le varietà dei vitigni l’inchiesta ne elenca una notevole quantità anche se risulta possibile individuare alcune varietà per le quali vengono usati vocaboli differenti nei diversi Sottocomitati.
Per le uve bianche le varietà riportate sono: verdicchio o uva marana, biancuccio o bianca, pecorino, albana, malvasia, promotico, doratella, pagadebiti, falsume, pampani tondi, forconese o forcese, tostarello, caccione o empibotte bianco, uva de’ cani o canaiuola, passerina, caccione tosto, cimiciara, cacacciara, vaccone o vaccaro, occhietto bianco, uva fermana, maceratese, picciuolo corto, greco, moglia o celletta, vernaccia bianca, balsamina, veccia o veciara, moscato bianco, belfortese o empibotte, ribuona, vissanello, bobognone, funroiola, pungentile, montecchiese, trebbiano o pulce in culo bianco, malvasia di Candia…
Per le uve rosse e nere le varietà identificate sono: morgentino o uva pompeiana, gaglioppa o gaglioffa o gaioppa, gaglioppone, negretto o moretto o uva nera, balsamina nera, caccione nero, canina nera, montepulciano, sangiovese o sangioveto, occhio di pernice rossa, occhio di pernice nera, vaccume o vaccone nero, forconese o forcese nero, lancianese nero, aleatico, tintorina, rosciola o rossiola, cesanese, moscato nero, montonico o monsonico, vernaccia nera, chiapparone, lacrima, uva romana, verdicchio nero, uva di Santa Maria, brungentile, pulce in culo rosso o trebbiano rosso,uva granata di Spagna…
Tra le testimonianze storiche circa le varietà dei vitigni utilizzati nel in questi territori è interessante citare quella di Andrea Bacci, studioso e naturalista rinascimentale nato a S. Elpidio a Mare, che nella sua opera “Storia naturale dei vini” del 1596 cita le uve qui coltivate: l’uva moscatella o malvasia, le uve nigelle o elveole, le uve marane, le uve vissane, le uve pretuziane, l’uva passula o passerina, l’uva itriola o irziola…
Al tempo dell’inchiesta Jacini la coltura dell’olivo non risultava essere molto estesa nel territorio piceno e si trovava in uno stato di decadenza. Tuttavia non mancano alcune eccezioni come l’oliva tenera di Ascoli che anche all’epoca godeva di un certo prestigio e di una certa notorietà in tutta Italia. Anche nella coltivazione dell’olivo esisteva però all’epoca una notevole ricchezza varietale. L’Inchiesta ne elenca diverse di cui però alcune “importate” dalla Toscana: sargana, sarganella, maglianese, carboncella, raggia o raggiola, giuggiola, ascolana grossa, rosciola, orvietana, piantone, morinella, nebbia, frontosa o grassosa, cornea, peparella…
La coltura del gelso era, all’epoca dell’Inchiesta Agraria, assai diffusa poiché la foglia del gelso veniva utilizzata per l’alimentazione dei bachi da seta. La sericoltura era infatti attività assai diffusa e proficua per il nostro territorio. Tuttavia pochi erano i gelseti veri e propri: per lo più i gelsi occupavano i margini delle vie pubbliche o poderali, i confini delle proprietà o si trovavano intorno al prato che circondava la casa colonica. Anche in questo caso diverse sono le varietà indicate: limoncina, gelso nero, gelso multicaule, gelso bianco, a sua volta suddiviso in gelso bianco selvatico, gelso bianco domestico, gelso bianco morettiano, gelso bianco a rosa…
Per quanto riguarda gli alberi da frutto l’Inchiesta elenca semplicemente le specie coltivate nel territorio senza però specificarne le varietà:“Molte sono le varietà di meli, peri, ciliegi, albicocchi, peschi, susini, mandorli, fichi coltivate nel circondario promiscuamente ad altre piante, e sono in gran parte pregevoli…le quali vieppiù si diffondono e si moltiplicano con gli innesti”
A questa carenza è possibile supplire con le testimonianze degli anziani agricoltori che, come abbiamo visto, ci hanno elencato diverse varietà dei vari fruttiferi.
Tra le colture erbacee la più diffusa era sicuramente quella del frumento che tuttavia forniva produzioni modeste: “In montagna bisogna accontentarsi di vedere riprodotta tre volte la semente…Il massimo della produzione si ha dove il grano si avvicenda con la canapa..tanto che può riprodurre fino a venti o trenta volte il seme”. Diverse sono le varietà di grano individuate, espressione di una notevole ricchezza di agrobiodiversità: solina bianca, solina rossa, di Rieti o reatina, quadrella, toscano, romano o romanella a seme rosso o bianco, grosso, siciliano, barbone o barbuto riccio, civitella o bianchetta, grosso bianco, grosso rosso, marzuolo (coltivato soprattutto in montagna), saravolla, grano duro, barbanera o rosticane, mazzocchetta, calcigia, spadella…
Dopo il grano la coltura cerealicola più diffusa era quella del granturco anche detto frumentone. “La varietà di granturco più generalmente coltivata è l’agostana a semi gialli,…in alcune località il giallo nano o ottantino e il cosiddetto sessantino o bimestre.. Qua e la’ si hanno alcune varietà a semi bianchi, rossicci, nerastri o screziati per ibridismo”. Altre varietà citate nell’Inchiesta sono il granturco comune grosso e il giallo spadone…
Tra gli altri cereali venivano coltivati, soprattutto in montagna, orzo, avena, segale e farro anche detto grano vestito poiché non perde la pula con la trebbiatura. Di varietà di orzo vengono citate l’orzo comune o vestito, l’orzo mondo, l’orzo da caffè..
Le leguminose all’epoca dell’Inchiesta risultano essere coltivate in ogni podere, sia regolarmente inserite nell’avvicendamento agrario, sia coltivate in piccoli appezzamenti, sia, soprattutto in montagna, in associazione con i cereali come il granturco. Tra queste la fava era la più diffusa. Anche in questo caso diverse erano le varietà utilizzate: fava invernenga, fava cavallina o favino destinata per lo più all’alimentazione animale, fava piccola, fava grossa da orto…
Anche la coltivazione dei piselli era diffusa nel territorio ma le maggiori estensioni si avevano lungo il litorale adriatico. Le varietà utilizzate erano: pisello volgare, pisello nano, pisello aranciato, pisello verde, pisello col guscio mangiabile, rubiglio (roveja)…
Diverse le varietà di lenticchia: lente maggiore, lente rossa, lenticchia o lente ripana, questa coltivata quasi esclusivamente a Ripatransone e Grottammare, lente turca…
Numerose le varietà di fagioli comuni e “dolichi” (fagioli dall’occhio) la cui coltivazione era diffusa soprattutto nelle zone montane: fagiuolo grandissimo, fagiuolo rotondo, fagiuolo comune, fagiuolo lunato, fagiuolo nano; dolico minimo, dolico bulboso, dolico dall’occhio, dolico sciabola, dolico unghiato, dolico da caffè…
Le varietà di cece diffuse nel Piceno erano: cece bianco, cece rosso, cece nero…
Le varietà di cicerchia: cicerchia comune, cicerchia porporina, cicercula o farchiolo…
Le veccie, destinate per lo più all’alimentazione animale, erano: moco, veccia d’inverno o nera, veccia di primavera, veccia bianca…
I lupini: lupino bianco, lupino giallo…
Dopo il grano la coltura cerealicola più diffusa era quella del granturco anche detto frumentone. “La varietà di granturco più generalmente coltivata è l’agostana a semi gialli,…in alcune località il giallo nano o ottantino e il cosiddetto sessantino o bimestre.. Qua e la’ si hanno alcune varietà a semi bianchi, rossicci, nerastri o screziati per ibridismo”. Altre varietà citate nell’Inchiesta sono il granturco comune grosso e il giallo spadone…
Tra gli altri cereali venivano coltivati, soprattutto in montagna, orzo, avena, segale e farro anche detto grano vestito poiché non perde la pula con la trebbiatura. Di varietà di orzo vengono citate l’orzo comune o vestito, l’orzo mondo, l’orzo da caffè..
Le coltivazioni orticole di cavoli, pomodori, carote, sedani, finocchi, meloni, cocomeri, cetrioli, carciofi, aglio, cipolla, ecc., erano diffuse ovunque ma destinate soprattutto all’autoconsumo. L’Inchiesta non specifica le varietà utilizzate dagli agricoltori.
Altre piante alimentari coltivate nel Piceno erano la patata, soprattutto nelle zone montane, la rapa, il cardo (famoso quello di Macerata)..
Tra le colture industriali sicuramente la più diffusa era la coltivazione della canapa. Ogni contadino riservava alla coltivazione della canapa almeno un piccolo appezzamento, scegliendo i terreni più umidi e produttivi (canepine). La maggior parte della canapa era destinata all’autoconsumo della famiglia contadina ma nei dintorni di Ascoli, lungo la vallata del Tronto, e nel bacino del Potenza, specialmente nel territorio di Fiuminata, essa veniva coltivata estesamente. La fibra tessile ottenuta, apprezzabile per quantità e qualità, era destinata all’esportazione. La varietà di canapa utilizzata dai nostri agricoltori era la cosiddetta “ascolana”, un adattamento locale della più famosa carmagnola..
In più modeste quantità veniva coltivato il lino anche questo destinato soprattutto all’autoconsumo. Le varietà coltivate erano essenzialmente due: il lino invernengo detto anche autunnale, vernio o ravagno e, nelle zone montane, il lino marzuolo detto anche nostrano, linetto o stio..
Altre colture industriali coltivate nel Piceno in piccole e piccolissime quantità erano, ai tempi dell’Inchiesta, il tabacco, la barbabietola da zucchero, l’anice (nei comuni di Appignano del Tronto, Castignano e Cossignano), lo zafferano, la liquirizia, l’arachide…
Altre piante alimentari coltivate nel Piceno erano la patata, soprattutto nelle zone montane, la rapa, il cardo (famoso quello di Macerata)..
Nell’Inchiesta Jacini vengono citate alcune varietà di foraggi utilizzate dagli agricoltori: la sulla, la lupinella, la crocetta, il trifoglio pratense o pesarese…
A tale proposito l’Inchiesta così si esprime: “Trovansi pure in gran copia spontanee altre piante che si utilizzano dai farmacisti come la dulcamara, la genzianella, la valeriana, l’assenzio, il tiglio, la cicuta, il giusquiamo, la camomilla, la belladonna, la carlina, l’altea e molte altre…”
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